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domenica 19 dicembre 2010

Prossimità e distanza

di Carlo Donolo   
1) Se penso al prossimo – visto dalla mia condizione “comune” di piccolo-borghese in città – lo vedo come figura distante: vittima dello tsunami o di una carestia, minore al lavoro in India, migrante, barbone. Sono esistenze lontane dalla mia e con le quali ho solo occasionali incontri per strada o in tv.
lo straniero dicembre 2010/gennaio 2011
Questo prossimo distante è però inquietante. E mi costringe a pormi molti interrogativi, più su me stesso che su di loro. 

Allora mi rivolgo al prossimo in senso fisico e anche sociale: vicini di casa, parenti, amici, gente del quartiere, colleghi. Non li vivo come prossimi se non per la frequenza degli incontri, ma il fatto stesso che con loro ci siano scambi dal mercantile al futile suscita sentimenti ambivalenti: più spesso li sento distanti e li terrei anche volentieri a distanza.
2) Per parlare di prossimo occorre interrogarsi sulle esperienze dirette che ne abbiamo e su come le elaboriamo. Così si evitano anche gli equivoci del buonismo e dei buoni sentimenti evocabili a poco prezzo. Se il prossimo non deve lasciare indifferenti deve esigere invece un costo emozionale e imporre una riflessione. E pensare il prossimo non lo si può fare con categorie astratte, ma con quelle elaborate nel mondo della vita e radicate nella propria biografia. Inoltre devo sempre anche pormi la domanda inversa: ma io di chi sono il prossimo, c’è qualcuno che mi considera tale?

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"Tutte le promesse di benessere e tutte le sicurezze date in epoca moderna dalle istituzioni statali nazionali, dai politici e dagli esperti di scienze e tecniche, sono state distrutte. E non c'è più in giro un'istanza che tolga all'uomo le sue nuove paure. Ecco allora che la crisi ecologica ci fa intravedere qualcosa come un senso all'orizzonte, persino la necessità di una politica globale ed ecologica nel nostro agire quotidiano". U. Beck