Avendo seguito con attenzione i giornali e le posizioni delle diverse tifoserie dei blog cittadini in relazione al possibile insediamento di un mega store IKEA tra Cormano e Paderno Dugnano, crediamo sia necessario aggiungere qualche elemento che possa essere utile al lavoro dei nostri Consiglieri Comunali, che, ci auguriamo, seguirà all'interrogazione di prossima discussione posta all'attenzione dell'Assemblea cittadina dal Capogruppo di PRC-PdCI, Mauro Anelli.
Non stiamo a riprendere le preoccupazioni, che condividamo tutte, per le criticità che un tale insediamento potrebbe comportare, già ben esperesse nell'Interrogazione di Anelli e da Negrisoli in PadernoinBlog, vogliamo però si abbiano più elementi quando si prendono decisioni così importanti per il futuro non di Cormano, o di Paderno Dugnano, ma dell'intero sistema che gravita attorno.
Ciò che deve farci dire NO non deve essere solo la sindrome NIMBY (Not In My Back Yard). Altre sono le ragioni.
Ciò che deve farci dire NO non deve essere solo la sindrome NIMBY (Not In My Back Yard). Altre sono le ragioni.
Occorre innanzitutto dire che IKEA non è svedese, come in tanti hanno scritto su blog e giornali. Di svedese IKEA conserva solo i nomi dei mobili, il giallo e il blu del Paese scandinavo.
IKEA è in realtà una multinazionale olandese. La holding che controlla il colossosi chiama Ingka Holding e ha sede a Leiden, in Olanda. La vera fortuna di IKEA e del suo fondatore Ingvar Kamprad, non è la genialata dei mobili smontati da caricare sull’auto e montare a casa, ma l'aver creato una struttura societaria molto complicata e inaccessibile, utile per sfruttare meccanismi di “pianificazione fiscale” e pagare meno tasse senza violare la legge.Quello che ha reso Ingvar Kamprad uno dgeli uomini più ricchi del mondo, è l’aver dato alla sua creatura a partire dagli anni Ottanta, uno “scudo” fiscale". Dal 1982, infatti, tutto il gruppo Ikea è controllato da un ente no profit, la Stichting Ingka Foundation, che ha sede in Olanda e non paga tasse per il regime fiscale previsto per gli enti no-proit.
Per seguire i conti IKEA basta leggere lo scontrino in qualsiasi negozio in Italia: il nome della società che lo ha emesso risulta essere Ikea Italia Retail con sede a Carugate dove nel 1998 è stato aperto uno dei punti vendita che la multinazionale gestisce in Italia. È da lì che i nostri soldi iniziano il loro lungo viaggio, perchè “Retail” è solo una delle cinque diverse società italiane che si chiamano IKEA e che fanno capo a una holding italiana, Ikea Italia Holding, il cui socio unico è la holding olandese. La struttura risulta simile a quella di molte altre imprese della grande distribuzione, solo che IKEA, non essendo una società per azioni quotata in Borsa, ha pochi obblighi di trasparenza.
Altri meccanismi contabili perversi finalizzati a non pagare tasse riguardano Ikea Italia Property, la società che si occupa de “la costruzione, l’acquisto, la vendita [...], la locazione, l’affitto e l’amministrazione degli immobili di proprietà sociale”...
1.580 aziende in 53 Paesi lavorano per IKEA. La lista è però tenuta segreta. Il solo nome “pubblico” è Swedwood, una controllata della stessa Ikea, nata nel 1991. Oggi Swedwood ha 49 fabbriche e segherie in 11 Paesi, dalla Svezia alla Germania ai Paesi dell’Est Europa.
Ikea più volte non ha assunto posizione di fronte alla violazione dei diritti sindacali effettuati in alcune sue associate, ma lei stessa non è da meno nel rapporto con i suoi lavoratori. Alla questione delle opportunità di lavoro (150 + 100 posti nell'indotto= 250/non sondaggio, i giovani chiedono lavoro/ soluzione alla crisi occupazionale dell'area.. ecc. ecc.)rispondiamo con questo breve quadro sula vicenda del giovane Mario.
“Ieri abbiamo fatturato 500mila euro”. È il messaggio che sentiva, ogni mattina, Mario, che ha lavorato all’Ikea di Corsico, il più grande d’Italia, fino a un anno fa. Per motivare gli addetti del magazzino, prima dell’apertura del negozio, l’altoparlante sparava fatturato e numero dei visitatori. Mario è entrato all’Ikea attraverso un’agenzia interinale, e dopo due contratti a tempo determinato (da tre mesi) al terzo rinnovo è rimasto a casa: Ikea voleva che accettasse un cambio di turno, che passasse a lavorare in quello notturno, dalle 10 di sera alle 6 del mattino. “Avevo un part-time da 16 ore, ma non so quant’era lo stipendio base, credo intorno ai 500 euro. Io ho sempre lavorato di più: facevo 40 ore di straordinario al mese, che è il massimo”. Lo straordinario, a Corsico, è routine: “Fanno una stima del personale di cui c’è bisogno in base alla superficie del negozio. Ma i metri quadrati non sono distribuiti sempre uguali: a Corsico, ad esempio, c’è una ribalta troppo piccola”. Manca lo spazio, cioè, per scaricare i camion. E il negozio non era mai pronto entro l’orario di apertura. Per questo ha preso a funzionare 24 ore su 24, per usare anche la notte per distribuire gli arrivi (fonte “Altraeconomia”).
“Ieri abbiamo fatturato 500mila euro”. È il messaggio che sentiva, ogni mattina, Mario, che ha lavorato all’Ikea di Corsico, il più grande d’Italia, fino a un anno fa. Per motivare gli addetti del magazzino, prima dell’apertura del negozio, l’altoparlante sparava fatturato e numero dei visitatori. Mario è entrato all’Ikea attraverso un’agenzia interinale, e dopo due contratti a tempo determinato (da tre mesi) al terzo rinnovo è rimasto a casa: Ikea voleva che accettasse un cambio di turno, che passasse a lavorare in quello notturno, dalle 10 di sera alle 6 del mattino. “Avevo un part-time da 16 ore, ma non so quant’era lo stipendio base, credo intorno ai 500 euro. Io ho sempre lavorato di più: facevo 40 ore di straordinario al mese, che è il massimo”. Lo straordinario, a Corsico, è routine: “Fanno una stima del personale di cui c’è bisogno in base alla superficie del negozio. Ma i metri quadrati non sono distribuiti sempre uguali: a Corsico, ad esempio, c’è una ribalta troppo piccola”. Manca lo spazio, cioè, per scaricare i camion. E il negozio non era mai pronto entro l’orario di apertura. Per questo ha preso a funzionare 24 ore su 24, per usare anche la notte per distribuire gli arrivi (fonte “Altraeconomia”).
Detto tutto questo, che è molto, ma ci sarebbe anche altro da dire (per esempio su quanto sia “ecologica” la produzione IKEA), chiediamo:
- siamo così convinti che IKEA sia buona e persegua oltre ai suoi i nostri interessi?
- siamo davvero disposti a fare partnership con qualcosa che ideologicamente e per collocazione politica in altre sedi condanniamo?
- perchè diavolo dobbiamo creare lavoro facendoci umanamente divorare (dal cemento, dal traffico, dalla concorrenza della grande dstribuzione che uccide le economie locali, dall'inquinamento...)? Perchè non puntare a riconvertire in senso ecologico la produzione tenendo come base di sviluppo le aree dismesse senza andare a toccare nemmeno 1 cm di area libera a verde?
C'è l'eventualità che la Giunta Cornelli, Sindaco di Cormano e segretario provinciale del PD, scelga di dare l'autorizzazione all'insediamento di IKEA...? Potremmo aspettarcelo, visto che qui nei dintorni (per rimanere a casa nostra) dove governa e ha governato il PD sono sorti ENORMI centri commerciali ( Il VULCANO e il CENTRO SARCA a Sesto San Giovanni, L'AUCHAN, LE FONTANE a Cinisello Balsamo, IPERCOOP di NOVATE MILANESE..)
Comunque sia, come scriveva in un commento sui blog Abbati, “Ecco adesso vedremo chi è davvero contro il consumo e la tutela del territorio e della salute e chi invece fa chiacchere a vanvera sia a Cormano che a Paderno. E soprattutto chi è coerente con le proprie idee. Il capitolo lavoro sarà, poi, una vera rivelazione”.
Un ultima cosa: se l'antipolitica è dire che qualcosa non ci sta bene... siamo a posto! Non c'è più nessun giudizio che si discosti che non sia antipolitico...
Viva la democrazia. Abbasso l'insediamento di IKEA.
Le informazioni qui riportate sono tratte da articoli pubblicati su Altraeconomia http://www.altreconomia.it
in particolare dal pezzo di Luca Martinelli - 12 febbraio 2009
in particolare dal pezzo di Luca Martinelli - 12 febbraio 2009
Il trucco olandese di Ikea Mentre riempie le nostre case di mobili tutti uguali, il paesaggio di capannoni e le strade di ingorghi, la multinazionale non più svedese apre società nei paradisi fiscali per pagare meno tasse possibile. Ecco come
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